La bisnonna di questa storia, ‘๐‘‚๐‘›๐‘›๐‘Ž ๐บ๐‘–๐‘Ž๐‘›๐‘›๐‘–๐‘›๐‘Ž, da Santa Maria Capua Vetere, era conosciuta come โ€˜๐ด ๐‘ƒ๐‘Ž๐‘›๐‘’๐‘ก๐‘ก๐‘’r๐‘Ž nel proprio quartiere, perchรฉ faceva il pane in casa e lo vendeva. Ogni mattina presto iniziava a lavorare lโ€™impasto, un lavoro faticoso che richiedeva forza e pazienza. Impastava tutto da sola e poi infornava, mentre il vicinato si metteva in fila davanti alla sua porta.

Non portava il pane nei forni del paese, lo faceva e lo scambiava direttamente in casa: chi le portava la farina riceveva il pane in cambio. Erano tempi difficili, e il baratto era piรน comune dei soldi. In casa sua il pane non mancava mai, ma durante la guerra fu razionato. Il pane bianco era un lusso per i piรน ricchi, mentre la gente comune si accontentava del pane nero, fatto con la crusca. Spesso ci si saziava con legumi, fave con la buccia, bucce di patate bollite o, nei periodi peggiori, carrube.

Giannina, rimasta vedova presto, era una mamma che faceva di tutto per sfamare i figli, arrivando spesso a saltare la cena pur di lasciare loro il suo pezzo di pane. Dopo la guerra, quando sua figlia si sposรฒ e il genero si ammalรฒ di tubercolosi, continuรฒ a impastare nove chili di pane a settimana per la famiglia. Ceste intere di pane, perchรฉ non cโ€™era altro da mangiare.

Negli anni โ€˜50, nonostante la lenta ripresa, la povertร  era ancora diffusa. I figli della nonna chiedevano: โ€œ๐‘€๐‘Ž๐‘š๐‘š๐‘Ž’, ๐‘โ„Ž๐‘’ ๐‘โ€™๐‘’โ€˜๐‘Ž ๐‘š๐‘Ž๐‘”๐‘›๐‘Ž’?”, e lei rispondeva: โ€œ โ€˜๐‘‚ ๐‘๐‘Ž๐‘›๐‘’ ๐‘๐‘ข โ€˜๐‘œ ๐‘๐‘Ž๐‘›๐‘’. โ€

Il pane era tutto. La sera lo tostava sul fuoco e lo accompagnava con poche olive contate. Quando cโ€™era, si mangiava con una zolletta di zucchero. Se passava โ€˜o pecuraro col carretto, vendendo formaggi e prodotti della campagna, la nonna comprava, quando poteva, un poโ€™ di formaggio locale, che arrostiva per dare un poโ€™ di sapore ai pasti semplici.

La domenica, per rendere il pranzo piรน speciale, preparava il sugo con un poโ€™ di carne, ma la carne era poca e le patate riempivano il piatto.

La vera sorpresa era la frutta. Non sempre si trovava, ma quando passava โ€˜o fruttajolo, la nonna saliva su una scaletta per prendere dal canestro qualche mela o una pera. Nei periodi giusti trovavano un cachi o un melograno, conservati con cura.
Questa storia parla di sacrificio, di ingegno e di amore. Di un tempo in cui il pane non era solo cibo, ma una promessa di resistenza, di famiglia e di speranza. Su queste basi e questi principi poi venne fuori una generazione di affermati professionisti che hanno fatto una splendida carriera fra la Campania e il nord Italia, e tutti si tramandando la storia di ‘Onna Giannina, che impastando il pane in tempi difficili, ha assicurato il futuro ai suoi figli e ai nipoti e pronipoti