𝐋𝐚 ‘𝐍𝐳𝐢𝐫𝐢𝐚: 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐜𝐚𝐩𝐫𝐢𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐚𝐫𝐭𝐞

Chi è cresciuto a Napoli o in Campania lo sa bene: quando si parla di ‘nziria, si entra in un territorio che va oltre il semplice “capriccio”. È una parola che indica un malumore ostinato, un lamento immotivato, molto più fastidioso del solito. Non c’è motivo reale, eppure chi “piglia ‘a’ nziria” diventa inconsolabile; un atteggiamento che, se nei bambini è quasi naturale, negli adulti riesce a sorprendere e, spesso, a esasperare chi li circonda.
Non a caso, in dialetto si dice “nziriuso” di chi è notoriamente testardo e cocciuto, tanto che quando “o’ ‘nziriuso piglia o’ ngrippo” non c’è davvero nulla da fare.
𝐿𝑎 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑜𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑎 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑠𝑖𝑔𝑛𝑖𝑓𝑖𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑛𝑡𝑟𝑎𝑑𝑢𝑐𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒: 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑙𝑖𝑐𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 “𝑐𝑎𝑝𝑟𝑖𝑐𝑐𝑖𝑜” 𝑖𝑛 𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎𝑛𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑙𝑒𝑠𝑠𝑖𝑡𝑎̀ 𝑒 𝑙𝑒 𝑠𝑓𝑢𝑚𝑎𝑡𝑢𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎 𝑐𝑜𝑛 𝑠𝑒́. 𝑃𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖𝑜 𝑞𝑢𝑖 𝑠𝑖 𝑣𝑒𝑑𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑙𝑎 𝑙𝑖𝑛𝑔𝑢𝑎 𝑛𝑎𝑝𝑜𝑙𝑒𝑡𝑎𝑛𝑎 𝑠𝑖𝑎 𝑟𝑖𝑐𝑐ℎ𝑖𝑠𝑠𝑖𝑚𝑎 𝑑𝑖 𝑠𝑓𝑎𝑐𝑐𝑒𝑡𝑡𝑎𝑡𝑢𝑟𝑒, 𝑒 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑡𝑜 𝑠𝑝𝑒𝑠𝑠𝑜 𝑎𝑏𝑏𝑖𝑎 𝑎𝑡𝑡𝑖𝑛𝑡𝑜 𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑙𝑖𝑛𝑔𝑢𝑒, 𝑡𝑖𝑝𝑜 𝑔𝑟𝑒𝑐𝑜, 𝑙𝑎𝑡𝑖𝑛𝑜, 𝑠𝑝𝑎𝑔𝑛𝑜𝑙𝑜, 𝑓𝑟𝑎𝑛𝑐𝑒𝑠𝑒 𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑖𝑛𝑜 𝑡𝑒𝑑𝑒𝑠𝑐𝑜, 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑝𝑖𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑜 𝑎𝑑𝑎𝑡𝑡𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑛𝑖 𝑎𝑙 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑜 𝑑𝑎 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑙𝑖 𝑢𝑛𝑖𝑐𝑖 𝑒 𝑖𝑛𝑡𝑟𝑎𝑑𝑢𝑐𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖.
L’etimologia di ‘nziria resta affascinante e discussa: alcuni la collegano al latino insidiae (“stare fermi sulle proprie posizioni”), altri a in-ira (“andare in ira”), altri ancora a una radice greca sun-eris (“dissidio”). Ipotesi diverse, tutte possibili, che confermano quanto questa parola porti con sé una storia profonda e stratificata.