Anni fa, quando la povertà (la vera povertà…) era un tratto distintivo di buona parte della popolazione, quando, in particolare in prossimità del 2 novembre, ci si recava al cimitero non era difficile incontrare persone, soprattutto anziane, in cerca di aiuto per delle piccole azioni, tese a sistemare al meglio i luoghi di sepoltura dei propri cari. Di solito erano persone provate dalla vita e da gravi lutti che non disponevano del supporto materiale di altri parenti e si recavano al cimitero da sole, per omaggiare la memoria di un proprio familiare. Il periodo era non troppo distante dalla fine, soprattutto del secondo conflitto mondiale e comunque un periodo nel quale tante malattie non erano facili da debellare.

Quando queste persone chiedevano un piccolo aiuto, in particolare a giovani in salute, per, ad esempio, posizionare i fiori o un lumino in una tomba posizionata in alto, oppure portare per pochi metri un secchio di acqua per le piccole pulizie, di solito la persona che chiedeva aiuto per disobbligarsi, in considerazione della sacralità del luogo, si congedava con una frase tesa ad omaggiare i cari estinti del soccorritore di turno: ” Frisco all’anema dè parenti tuoje” che aveva altre varianti, tipo “Frisco all’anema dè muorti tuoje”, derivazione della frase “Frisco all’anema dò Purgatorio”, ossia una formula beneaugurante in favore delle anime dei propri cari, tesa a rinnovarne la memoria (Frisco=refrigerio, rinnovo del ricordo). Una piccola preghiera in forma di congedo per ringraziare dell’aiuto ricevuto. Una frase ormai quasi in disuso dalle nostre parti che resiste in molte zone del napoletano, da sempre avamposti delle tradizioni